Ansia e paura: come la mindfulness ci aiuta a gestirle

LeDoux MindfulnessLa Scienza oggi lo conferma: la meditazione difende dall’ansia e dagli stati correlati. Chi è immune da preoccupazione, timore, inquietudine, nervosismo? La meditazione tiene occupata la memoria a breve termine impedendo l’accesso ai ricordi ansiogeni e attenuando l’accesso agli stimoli esterni.
É anche quanto si può leggere nella nuova opera “Ansia: come il cervello ci aiuta a capirla”, Raffaello Cortina, pp. 640, euro 36, corposa sì ma non solo per un pubblico di settore, di Joseph LeDoux, massimo esperto dei meccanismi neurali alla base della paura e dell’ansia.
Nella pratica della Mindfulness una tecnica fondamentale è il riportare sistematicamente l’attenzione al respiro. Lo studioso mette in evidenza come questo processo promosso dalla pratica della meditazione di consapevolezza sia in grado di rallentare il ritmo del respiro riducendo l’influenza del Sistema Nervoso Simpatico che è quello che reagisce alle situazioni di emergenza ed è coinvolto negli stati d’ansia e paura.
Alla luce della trentennale esperienza il neurobiologo della New York University spiega che paura ed ansia sono strettamente correlate ma si possono comprendere separatamente.
LeDoux cerca prima di tutto di chiarire questo malinteso: paura e ansia non sono la stessa cosa.
Intervistato, lo studioso si esprime con un esempio: “quando passeggi, senti un clacson e vedi che un’auto sta per investirti, non è la paura che ti fa saltare indietro: è la reazione istintiva e inconscia di difesa scatenata dall’amigdala” ammasso di neuroni situato nel sistema limbico, considerata da sempre “la centrale, l’organo della paura e dell’ansia” nel nostro cervello. “Ma la paura”, continua lo scienziato, “è un’emozione solo umana che subentra in un secondo momento: quando ti rendi conto di cosa è successo e del pericolo che hai corso. E ha un oggetto preciso: quell’automobile che ti ha mancato per un soffio. L’ansia, invece, è lo stato più vago che riproverai quando riattraverserai quell’incrocio o quando sentirai un clacson vicino a te. I tuoi ricordi ti rievocheranno quell’esperienza spiacevole che potrebbe ripetersi. Ma senza più un oggetto preciso e soprattutto lì presente, da temere, come nel caso della paura.
Nel caso di una mente ansiosa serve dunque un doppio approccio: si considerino separatamente i processi impliciti che si riferiscono al sistema di difesa dell’organismo e sono guidati dall’amigdala e i processi espliciti legati alla consapevolezza associati alla corteccia prefrontale. La pratica della mindfulness stimola i processi consapevoli promuovendo la gestione dei processi impliciti.
Oggi gli studi sui meditatori di lunga data confermano la funzione regolatoria della corteccia prefrontale mediale, attività promossa dalla pratica della meditazione. In termini più comportamentali, questo, vuol dire migliore gestione dell’ansia.
Se noi esseri umani a dispetto degli altri esseri animali siamo così suscettibili all’ansia è per via delle nostre capacità riflessive ed intellettuali:

anche se siamo nel presente viviamo per il futuro

sottolinea LeDoux. Questo meccanismo è la nostra benedizione e la nostra maledizione. Esso ci permette di impegnarci per realizzare qualcosa, ma anche, di preoccuparci del possibile fallimento.
La paura può essere vista come l’insieme di più fattori, simile ad “una zuppa fatta di più ingredienti” come scrive LeDoux. Sono indispensabili: uno stimolo fisico, ossia la rilevazione di una possibile minaccia (si pensi ad uno strano rumore in casa al buio); poi, servono i ricordi (ad esempio, si richiami alla memoria il concetto di “ladro” per riconoscere che quello strano rumore possa essere identificato come “pericoloso”); e, infine, la percezione cosciente dello stato di allarme del nostro cervello. Come sottolineava William James già nell’ottocento, LeDoux sottolinea “non scappiamo perché abbiamo paura, ma abbiamo paura perché scappiamo”.
Per lo studioso le emozioni, specie quelle come la paura, vengono dopo il comportamento e sono rielaborazioni consapevoli delle reazioni inconsapevoli e istintive del nostro organismo allo stimolo esterno.
La paura, ha scritto LeDoux nel 2012, è uno dei “circuiti difensivi di sopravvivenza” previsti alla salvaguardia della specie. Diversi esperimenti hanno messo in evidenza che gli esseri umani possono sviluppare un meccanismo stimolo-risposta, quando una minaccia, non solo viene vissuta direttamente in prima persona ma anche esperita nell’immaginazione o, osservata (per rimanere sull’esempio del ladro citato sopra: vedere una persona aggredita dal ladro) o, spiegata da terzi (un amico, un conoscente, letta sul quotidiano, ascoltata al TG). In tale modalità, per queste ragioni, anche chi non ha mai sperimentato la stessa situazione, il trauma in sé, può esperire timori e paure simili a chi non è stato vittima in prima persona.
Questa capacità, se la consideriamo globalmente, è stata assolutamente utile da un punto di vista evolutivo in quanto ha permesso al singolo di trasmettere l’esperienza agli altri membri della comunità e sviluppare meccanismi di difesa.
Nell’era odierna, però, corriamo il rischio di mandare in tilt questo meccanismo in quanto siamo continuamente soggetti a stimolazioni allarmanti tanto da non riuscire a non disidentificarci con i pensieri stessi che costruiamo intorno alle informazioni-stimolo e la nostra “bussola interna” rischia di non saper discernere gli stimoli davvero minacciosi da quelli non reali facendoci sentire disorientati.
Stati di inquietudine, nervosismo ed irrequietezza hanno un potere più insidioso della paura, in quanto richiamano il passato con ricordi sgradevoli e il futuro con anticipazioni infauste senza che ci venga data la possibilità di difenderci.
La paura è innescata da uno stimolo specifico, è un’emozione pienamente umana, l’ansia è la preoccupazione di qualcosa che non è presente. Attraverso la pratica sistematica della mindfulness alleniamo la capacità di dirigere l’attenzione nell’esperienza che si vive solo nel momento presente.
Differenza tra la paura e l’ansia, riportata da Sigmund Freud che ricondusse la paura ad una situazione o oggetto presenti e l’ansia all’anticipazione di una minaccia che potrebbe realizzarsi nel futuro e che coinvolge l’incertezza sulle conseguenze che questa può avere sull’individuo.
La lettura del Testo prosegue con l’evidenziare i rimedi attuali e quelli futuribili mettendo in luce la difficoltà della terapia farmacologica nel conseguire i benefici attesi specie degli ansiolitici, che presentano, tra l’altro, numerosi effetti collaterali, in primis la sedazione e la dipendenza. Si sottolinea a tal proposito, la rinuncia delle aziende al business dell’ansia proprio perché la molecola chimica è in grado di attenuare i processi inconsapevoli ed istintivi, quelli legati all’amigdala, quelli descritti prima come reattivi, mentre sono fallimentari i tentativi di poter curare la componente consapevole.
La pratica della mindfulness rientra negli interventi comportamentali sicuramente più efficaci per gestire la componente inconsapevole e consapevole fungendo da regolatore del Sistema Nervoso Centrale e Periferico. Facilita un processo cognitivo definito “ripercezione” che ogni momento in ogni esperienza è in grado di scindere la componente inconsapevole da quella reale del momento presente, impedendo al filtro dell’ansia di filtrare col solito copione l’esperienza nuova del qui ed ora.

Foto: raffaellocortina.it, illibraio.it